Vendita allo scoperto di put

Un lungo studio svela tutti i segreti di questa tecnica di trading così popolare

Vendita allo scoperto di put, naked put selling, short put…

Tutti modi alternativi di dire la stessa cosa: penso che il sottostante non scenderà sotto una certa soglia.

Oppure, possiamo sostituire la parola “penso” con la parola “spero”.

Il risultato non cambia: la vendita allo scoperto di put è una strategia non direzionale.

Una delle strategie in opzioni più popolari in assoluto, molto diffusa anche a causa di alcuni preconcetti errati.

Il principale si basa sull’assunto che fare la vendita allo scoperto di put in un certo modo darebbe al trader un vantaggio statistico.

Probabilità di successo elevate, determinate sulla scorta di un parametro di sensitività del prezzo, il delta, che potrebbe essere letto appunto come misura di aspettativa di profitto.

Vendita di put: delta e altre baggianate

Nell’ambito della vendita allo scoperto di put, il delta ricopre un certo ruolo.

Ruolo immeritato, peraltro, dal momento che porta spesso e volentieri a ipotesi fuorvianti, essendo esso basato su un modello di probabilità che mal descrive la realtà del mondo.

È vero che i modelli tendono per definizione ad approssimare la realtà, ma qui il problema è duplice, dal momento che:

  1. il delta è una stima molto grossolana del rischio/opportunità di una operazione in opzioni nel momento in cui viene creata;
  2. questa valutazione di rischio/opportunità non rimane costante per tutta la durata dell’operazione.

Il secondo punto è piuttosto importante, perché implica che le valutazioni fatte all’inizio dell’operazione restano valide solo per poco.

Il primo punto, del resto, ci dice che la validità di quelle valutazioni è tutta da dimostrare.

Vendita allo scoperto di put: una storia in tre puntate

Trattandosi di una materia che interessa una larga massa di trader, ho voluto trattarla in modo molto scientifico e rigoroso, senza preconcetti, e con tutto il tempo (e lo “spazio”) necessario.

Ho deciso di dividere in tre parti il lavoro.

Nella prima, ho presentato il problema dal punto di vista concettuale, statistico e probabilistico.

Tramite una serie di ragionamenti formali, sono giunto alla conclusione che i delta più ragionevoli per una operatività di tipo short put potessero essere molto diversi da quelli più comunemente utilizzati.

Laddove, infatti, tutti i venditori allo scoperto di put vanno a cercare opzioni con delta -20, o anche -10, o addirittura ancora più bassi, io ho optato per scelte radicalmente diverse.

Non basate su aspettative, però, bensì su evidenze scientifiche a loro supporto.

Nell’ultima parte dell’articolo, ho compiuto un backtest della vendita allo scoperto di put usando opzioni aventi delta pari a circa -40.

Nella seconda parte del lavoro ho esteso il backtest alle opzioni put con delta -30 e -20.

Il confronto tra le equity line e le metriche di sistema ha dato ragione all’evidenza scientifica emersa nel corso del primo articolo, dimostrando come le put con delta -40 siano da preferirsi.

Nella terza e ultima parte, infine, ho provato ad applicare i concetti di floor e di stop loss alla strategia, alla ricerca di possibilli miglioramenti.

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Vendita di put: meglio mettere un tappo o uno stop?

Con l’ultimo articolo ho indagato le opportunità offerte da due possibili scelte gestionali:

– l’acquisto di put su strike minori di quelli venduti;

– l’implementazione di un livello di stop loss.

I risultati sono stati interessanti sul fronte dello stop loss, e in larga parte deludenti sul fronte del floor.

Ciò che è emerso, infatti, è che il floor è più causa di una erosione sistematica dei profitti delle operazioni vincenti che non di recupero di perdite potenziali su quelle perdenti.

Il trade-off tra costo dei tappi e perdite evitate si è dimostrato svantaggioso in tutti i casi, pur di fronte a miglioramenti di redditività relativa.

Rimando all’articolo per tutti i dettagli.

La trattazione completa copre i numeri 11-2022, 12-2022 e 01-2023.